Una riflessione sulla rappresentazione del paesaggio

La strategia di richiamare nuovamente l’attenzione sull’ambiente nella sua complessità mi sembra, anche culturalmente, davvero importante. Perché io credo che (è una teoria molto personale) dietro i disastri dell’ambiente, a parte i meccanismi insiti in un determinato tipo di sviluppo, vi sia una disaffezione – chiamiamola disaffezione – che l’uomo ha sviluppato nei confronti del suo ambiente negli ultimi 30 o 40 anni, alla quale ha corrisposto una fondamentale incapacità di relazionarsi con l’ambiente attraverso la rappresentazione. Quindi il recupero della rappresentazione visiva, oltre alla parola o all’informazione <<tecnica>>, come strumento di relazione con il mondo, di rapporto con l’ambiente, può avere un grande peso culturale e una grande efficacia.
Questa è una delle ragioni che alcuni anni fa mi hanno spinto a organizzare una grande mostra di fotografia italiana, che comprendeva il lavoro di una ventina di fotografi, ironicamente intitolata Viaggio in Italia. Voleva sottolineare la necessità non tanto di riappropriarsi dell’ambiente, ma di relazionarsi di nuovo con l’ambiente nel suo insieme. Sono riflessioni che riguardano anche il cinema. Nel cinema le storie vengono girate prevalentemente negli studi, quindi, di nuovo, rivelano un rapporto con l’ambiente e con la realtà pesantemente mediato, indiretto. Lo stesso accade in letteratura. La pittura segue, forse giustamente, altre strade. La televisione, al 99% è piena di facce. Quello che abbiamo attorno non viene mai rappresentato. Questa negazione dello spazio in cui viviamo credo che sia un dato storicamente molto significativo: all’incapacità di rapportarci con lo spazio, con l’ambiente, corrisponde un’assenza di rappresentazione. Da questo deriva, probabilmente, una progressiva disattenzione, e in qualche misura un atteggiamento di incuria nei confronti delle problematiche ambientali, ecologiche.

Luigi Ghirri, brano tratto dal libro Lezioni di fotografia

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